lunedì 19 marzo 2012

Donne e Violenza Ostetrica

Prendendo in prestito alcuni scritti di una ostetrica del Melograno prematuramente scomparsa, e dopo una lunga riflessione condivisa con le altre nostre sedi e la sua fondatrice Tiziana Valpiana, ho deciso di condividere il tema anche con voi. Il tema non è dei più semplici, ma considerato il mese di marzo, direi che è assolutamente pertinente.
Abbiamo appena “celebrato” la festa della donna, e senza entrare nel merito di questa stessa, mi addentro invece nel tema della violenza sulle donne. E ancora più in particolare, nel tema della violenza ostetrica.
Sì, avete capito bene.
Violenza sulle donne durante il parto/nascita e immediato dopo parto. Perchè la violenza è cosa sottile e tremenda.
La violenza ostetrica è stata considerata ufficialmente una delle 19 forme di violenza sulle donne all’interno di una famosa legge Venezuelana nel novembre del 2008, e più volte ripresa in documenti di vario tipo. (vedi post successivi)
Con violenza ostetrica si intendono tutte quelle pratiche che in diversi modi minano la sicurezza e la salute fisica di mamma e bambino, nonchè il loro benessere psicologico e mentale. Pratiche spesso scientificamente inutili, non supportate dalle evidenze, o considerate esplicitamente dannose.
Si pensi alle visite inutili in travaglio ogni ora e da più operatori quando l’O.M.S. parla di controlli, se necessari ogni 4 ore;  alle episiotomie che non dovrebbero essere più del 10/15 % e che invece vengono eseguite al 60 /70% delle donne con gravi ripercussioni sulla loro vita sessuale futura; alla  manovra di Kristeller  che potrebbe essere tollerata per non più del 3/4%  dei casi, mentre invece viene praticata di routine nelle sale parto, (pratica che andrebbe abolita per i gravi rischi che possono conseguirne alla madre e al bambino, dei quali quello minore è la rottura delle costole materne); alla dilatazione manuale; al taglio cesareo che aumenta di quattro volte rispetto al parto spontaneo il rischio di morte materna.
Ma si pensi anche solo alla limitazione di muoversi o di assumere cibo e bevande, all’obbligo di rimanere sole in ambienti sconosciuti senza il conforto di una persona scelta dalla donna stessa ( al sud questo è frequentissimo); al non poter tenere sempre con sé il proprio bambino; al consenso informato firmato appena si entra in ospedale che dà la facoltà al medico di fare ciò che vuole e lo mette al riparo dalle denunce; alla mancanza di informazioni statistiche accurate su ciò che si fa nell’ospedale incluse le quantità degli interventi ed i risultati...
Sembra assurdo considerare tutto questo una violenza, eppure le tante donne che ho incontrato in questi anni denunciano troppo spesso questo “sentire”.
Nessuna forse avrebbe mai la forza di denunciare un ospedale per violenza subita, ma molte, troppe, raccontano in sede privata un dolore mai sopito. Una ferita mai chiusa. Una lacerazione interiore che nessuna cicatrice fisica può considerare guarita.
I racconti evidenziano una realtà molto più drammatica di quello che si pensa. Le conseguenze di questi vissuti sono molteplici e duraturi. Molto più spesso di quanto si sappia, sono anche all’origine di tante separazioni di coppia e di depressioni post partum.
E i numeri sono molto più alti di quello che si immagina. In ogni parte del mondo.

Per il momento non aggiungo altre parole, ma vi invito a prendere visione dei post successivi e dei video in essi indicati.

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